22 ottobre 2012

Ripensare la pastorale parrocchiale - 2


Se invece di voltarci indietro, guarderemo avanti,
se invece di guardare le cose che si vedono,
avremo l'occhio intento a quelle che non si vedono ancora:
se avremo cuori in attesa, più che cuori in rimpianto,
nessuno ci toglierà la nostra gioia,
poiché noi siamo nuove creature nella novità
sempre operante del Signore.

Don Primo Mazzolari

Apro questa seconda puntata di "Ripensare la pastorale parrocchiale" con un pensiero di Don Primo Mazzolari.
La "tromba dello Spirito Santo nella bassa mantovana", come lo definì Giovanni XXIII, ancora una volta si dimostra uno straordinario profeta dei nostri tempi.
Don Primo non ha fatto in tempo a vedere il Concilio Vaticano II, eppure metteva già in guardia da quel vizio assurdo che toglie il respiro alla pastorale parrocchiale, gli leva il coraggio, la strangola fino ad ucciderla: la nostalgia.
La nostalgia è una brutta bestia. Ma noi cristiani dovremmo esserne esenti.
Dovremmo vivere con consapevolezza nel già e nel non ancora, nel qui e nell'adesso, con l'aratro diretto verso un terreno ancora vergine, che rifiuta la lama del vomere ma che per questo deve essere faticosamente e con tenacia, dissodato e conquistato alla semina...
Mi ricordo, nel '96 a Roma, una definizione della pastorale per bocca dell'allora rettore del Pontificio Collegio Leoniano di Anagni, Mons. Francesco Lambiasi (oggi vescovo di Rimini, già assistente generale di A.C.). Di quella stessa che si svolge nelle nostre parrocchie, non qualcosa di astratto e teorico. In sede di Commissione per il Laicato della Conferenza Episcopale del Lazio stavamo confrontandoci con il documento dei vescovi italiani "Comunicare il vangelo in un mondo che cambia", gli orientamenti pastorali per il decennio 1996-2006 dopo il convegno ecclesiale di Palermo. Ebbene, mai definizione fu tanto efficace quanto impietosa: una pastorale "lagrimosa".
Lambiasi rimarcò particolarmente questo difetto della pastorale nelle nostre parrocchie, spesso ancora voltata all'indietro, à la recherche di quelli che furono i numeri straordinari della Chiesa italiana del primo dopoguerra, e che non potevano tornare più, dipingendola così lagrimante tanto da rinchiudersi in se stessa e rimanere assurdamente finalizzata alla conservazione dell'esistente.

Nella mia parrocchia è proprio così.
Siamo perennemente rivolti ai "bei tempi" che furono e che non torneranno mai più.
Da noi, soprattutto, non ci riusciamo proprio a scrollare di dosso esperienze di un glorioso passato che furono efficaci ed esaltanti in un determinato periodo storico, con una determinata classe sociale, una determinata generazione, determinate persone. Esperienze che si sono svolte nel pieno dei travagliati anni Settanta e che hanno portato frutto fino alla metà degli anni Ottanta.
Ebbene il parroco - qui a Capranica ininterrottamente dal 1965 - pensò bene trent'anni dopo, nel 2007, di cercare di riprodurre tali esperienze, dopo anni di Azione Cattolica, lanciando una pastorale giovanile fatta di gruppi spontanei. Il guaio è che alla guida di questi gruppi furono chiamati sessantenni, e alcuni altri nostalgici della belle epoque della nostra parrocchia. E con tutto il rispetto per i sessantenni... non mi sembra che la cosa potesse iniziare all'insegna della novità: vino vecchio in otri vecchi.
Il risultato? Si è visto a distanza di cinque anni: durante l'estate del 2012 non si sono praticamente fatti campi scuola, la pastorale giovanile è agonizzante vieppiù, i responsabili dei gruppi sono invecchiati ma ancora non mollano, al vescovo gli si racconta che va tutto bene e il parroco si inventa improvvisamente di trasbordare coattivamente tutto l'ambaradan nell'Azione Cattolica contro la volontà di tutti (sia dei responsabili dei gruppi spontanei, sia della stessa Azione Cattolica), con la motivazione che solo l'A.C., durante l'estate, è riuscita ad organizzare campi scuola.

Per rifondare davvero la pastorale parrocchiale, bisogna quindi per prima cosa avere il coraggio della novità e il coraggio di non voltarsi mai indietro.
Se continueremo a guardare al passato, a rispolverare formule che non sono per tutte le stagioni, a dirci: "quanto era bello prima...", "ai nostri tempi...", "noi più vecchi...", "a noi piaceva tanto...", allora non possiamo andare da nessuna parte. Siamo destinati a rimanere schiacciati dai sassi con cui sono fatte le nostre chiese che prima o poi ci crolleranno addosso.

Quindi la parola d'ordine è: niente nostalgia. Guardiamo al futuro e prima ancora guardiamo a questo nostro tempo per imparare a "leggerlo" per cogliere "i segni" di salvezza attraverso cui lo Spirito imperscrutabilmente comunica con noi. Con coraggio, con fatica, con forza, con ostinazione. Solo così "nessuno ci toglierà la nostra gioia, poiché noi siamo nuove creature nella novità sempre operante del Signore".



Nessun commento:

Posta un commento

Ciao! Grazie per aver lasciato un commento su Hic et Nunc!