14 ottobre 2012

Ripensare la pastorale parrocchiale - 1


Cinquant'anni dall'apertura del Concilio.
Ma cosa hanno raccolto le nostre parrocchie da questa straordinaria esperienza della Chiesa?
Hanno fatto proprio il messaggio dei Padri conciliari o sono ancora ferme al 10 ottobre 1962?
Sono riuscite ad impostare una pastorale veramente efficace ed in grado di incidere sulle anime e sulla società?

Secondo la mia esperienza di laico, nella pastorale parrocchiale molta è ancora la strada da fare.
Tanto c'è ancora da lavorare per arrivare a realizzare la "Chiesa bella del Concilio".
E sicuramente uno dei punti su cui c'è da insistere - e tanto - è quello dell'abbandonare il prima possibile la pastorale parrocchiale incentrata sui sacramenti.
Le nostre parrocchie sono dei "sacramentifici", delle fabbriche in cui si producono sacramenti.
Tutto ruota intorno a questa produzione che annualmente sforna prime comunioni, cresime, battesimi e matrimoni. Come se fossero dei numeri di efficienza produttiva da raggiungere assolutamente a soddisfazione dei bisogni del mercato. Quest'anno abbiamo fatto 56 comunioni, 60 cresime, 35 matrimoni, 27 battesimi...

E' troppo forte quello che dico? Irriverente?
Allora vi dico come si svolge l'anno pastorale in una parrocchia qualunque: la mia, a Capranica, in provincia di Viterbo.

All'inizio dell'anno vengono raccolte le iscrizioni al catechismo.
Due cicli: il primo per i bambini delle elementari che si preparano alla prima comunione; il secondo per i ragazzi delle medie che si preparano alla confermazione (cresima). Su questi due sacramenti si concentra il grosso dello sforzo parrocchiale, con notevole impegno di uomini e mezzi, come si direbbe dal punto di vista produttivo.
Una volta all'anno, di solito in febbraio/marzo, viene organizzato un corso in preparazione al matrimonio, per le coppie di fidanzati che si sposeranno entro l'anno o a breve.
Per i battesimi, il parroco pensa di volta in volta a fare una breve catechesi personalizzata ai genitori che chiedono il sacramento per il loro figlio.

Accanto alle attività parrocchiali esistono movimenti (Neocatecumentali, Rinnovamento nello Spirito Santo), che utilizzano le strutture parrocchiali ma che, di fatto, svolgono una propria pastorale orientata agli adulti. E' attiva poi l'Azione Cattolica, che opera a servizio di bambini e ragazzi delle medie e delle superiori. Ci sono infine il gruppo dei terziari francescani e una serie di centri d'ascolto, entrambi eredità della missione cittadina guidata dai francescani nel 2005/2006.

In pratica, dunque, con una pastorale così i punti di contatto con la parrocchia di una persona durante la sua vita, sono assai rari.
Dopo l'iniziazione cristiana, all'indomani della cresima, c'è subito il primo liberatorio allontanamento. Il grosso del numero dei ragazzi non vede l'ora di finire il catechismo e di sparire definitivamente dall'orizzonte parrocchiale. Ritornano qualche anno dopo solo quelli che decidono di sposare in Chiesa. Dopo il corso fidanzati si sparisce di nuovo e si tocca nuovamente la parrocchia quando si decide di far battezzare i figli. Piccolo momento di contatto con il parroco e poi di nuovo via. Ci si volatilizza fino all'avvio del catechismo per la prima comunione, in terza elementare.
Questo è il punto di contatto di maggior durata, circa sei anni se si considera la preparazione alla prima comunione insieme a quella alla cresima. Dalla cresima dei figli in poi... di nuovo buio. Si chiamerà il parroco solo per far amministrare il sacramento degli infermi ai propri cari malati o per il funerale di qualche parente...
Complessivamente questo tipo di pastorale, orientata esclusivamente alla preparazione ai sacramenti, offre quindi ben pochi punti di contatto con le persone...
Restano poi da vedere ed analizzare le motivazioni per cui si chiedono i sacramenti per i figli.
E questo è un argomento davvero spinoso.
E' chiaro che molti lo fanno soprattutto perché tutti fanno così, ovvero per conformarsi e basta, e quindi senza convinzione personale. Ma è anche vero che finché questo stato di cose non viene a cambiare, con tutta l'impostazione della pastorale, sarà sempre così.

Pensate che quello che ho scritto non sia vero? Che non sia così? Ovvero che le nostre parrocchie non siano sacramentifici? Allora per dimostrarvi che è così vi parlerò del sacramento della confermazione.
Lasciamo infatti da parte sia il battesimo, sia la prima comunione.
La confermazione, per sua natura, ha bisogno di una maturità intellettuale ed umana maggiore di quella necessaria per ricevere la prima comunione.
Nella mia parrocchia la cresima si riceve in terza media, a 13 anni. In altre parrocchie della mia diocesi (Civita Castellana), il sacramento viene amministrato in seconda o addirittura in prima media. Quando però si comincia a discutere di spostare la data alle scuole superiori perché, appunto, la cresima va ricevuta con pieni sentimenti e intenzioni, tutti cominciano a storcere il naso. Come fai a tenere i ragazzi per così tanto tampo se è già difficile tenerli fino in terza media? Si perdono, si dice. E dopo la terza media non si perdono lo stesso? La maggior parte si. Quindi non si ha il coraggio di prendere una decisione seria in merito solo perché si ha paura di sguarnire una parte della fabbrica dei sacramenti. Perché non si ha il coraggio di dire: basta, da oggi in poi la cresima si amministra a chi la chiede in tutta maturità, minimo a 18 anni di età. Perché, dunque, si ha paura di perdere un pezzo della collaudata catena di montaggio. Ecco perché.

Eppure bisognerebbe avercelo questo coraggio. E bisognerebbe avere anche il coraggio di non amministrare i sacramenti a chi non dimostra di chiederli per fede. Ma come si fa a giudicare le intenzioni dei cristiani? Come si fa a dire: tu si, tu no? Tu sei promosso e tu bocciato? (bruttissima l'analogia con la scuola!)
Problemi di coscienza di non facile risoluzione...

E vi siete mai domandati perché la pastorale delle nostre parrocchie è così strutturata?
Pensateci un attimo. La soluzione è molto semplice.
Perché è la cosa più facile da fare.
Perché è molto più agevole far catechismo ai bambini eppoi ai ragazzi piuttosto che confrontarsi con i problemi degli adulti, delle famiglie, degli ultimi, dei lontani.


Ma allora qual'è la soluzione?
La risposta è un ripensamento complessivo della pastorale, una sua rifondazione, una vera e propria rivoluzione delle nostre parrocchie, che passi per un nuovo progetto della catechesi, dinamico, propositivo, moderno, adattabile e soprattutto  concettualmente diverso da quello attuale.
Non possiamo far finta di dimenticarci che dal Concilio ad oggi sono passati 50 anni.
Non possiamo far finta di niente di fronte ai profondi mutamenti della nostra società.
Non possiamo far finta di non capire che se il Vangelo rimane sempre il medesimo, le modalità con cui portarlo alla gente vanno assolutamente adattate agli uomini di oggi.


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